Recensione Trilogia - Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien

Titolo: Il Signore degli Anelli
Autore: J.R.R. Tolkien
Data di Pubblicazione: ed. 2018
Editore: Bompiani

Tre Anelli ai Re degli Elfi sotto il cielo che risplende,
Sette ai Principi dei Nani nelle lor rocche di pietra,
Nove agli Uomini Mortali che la triste morte attende,
Uno per l'Oscuro Sire chiuso nella reggia tetra
Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra nera scende.
Un Anello per domarli, Un Anello per trovarli,
Un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli,
Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra cupa scende.



Manco da qualche mese, con le mie recensioni ma…questa non è una recensione! O almeno, non lo è in senso stretto. Recensire “Il Signore degli Anelli”, significa assumersi un onere troppo grande. E non ho la volontà di Frodo Baggins, accetterò di portare al collo l’Unico, ma non oserò mai infilarlo.

Tuttavia, parlare di un’opera così importante è un dovere, un compito. E parliamo di una grande storia, tra le più grandi mai narrate. Come tutte le storie, procede da un modello ben definito: l’Iliade e l’Odissea. Sono i due modelli cardine di cui tutta la letteratura si serve. E se l’Eneide è stata la loro mirabile fusione per il Mondo Antico, per la nostra contemporaneità questo ruolo non può che essere incarnato nell’opera di Tolkien.

Mi si permetta il paragone, ma Frodo e Samvise Gamgee sono due Odisseo che tentano di ritornare alla Contea \ Itaca, dopo essere penetrati nel cuore del nemico Mordor / Troia; Aragorn “Elassar”, Gandalf “Mitrhrandir”, Merry e Pipino, Legolas e Gimli sono dapprima marinai della stessa nave, poi eroi omerici che levano la spada (o l'arco, il bastone o l'ascia in favore dei due amici perché comune è il Nemico: Sauron, l’Oscuro Signore. Dalla sua Torre Nera, questi è una presenza frequente nell’intera opera, quasi ossessiva, con i suoi Nazgul e il suo fedele Saruman il Bianco. Gli orchi, i sudroni e Gollum, anche se solo in parte quest’ultimo, i suoi velenosi alleati, che minacciano e attentano alla riuscita della missione. Eppure, l’atmosfera non è mai del tutto cupa, la speranza, seppur flebile, aleggia sempre sul capo dei piccoli e fortunati Hobbit, anche nell’ora più buia. Basta anche un solo ricordo: dalla Contea all’erba pipa, all’amato Gaffiere o a personaggi meravigliosi come Tom Bombadil o la incantevole dama Galadriel. Ogni personaggio è inoltre caratterizzato, ha un suo uso, una sua lingua, un suo modo di parlare e di comportarsi. La costruzione dei personaggi è semplicemente perfetta.

Sarebbe inutile, oltreché dannosa a quei pochi fortunati che ancora non la conoscono ed hanno occasione di goderne, parlare della trama di questa grande trilogia. Riteniamo più utile parlare invece delle sensazioni che un’opera così imponente può dare a un lettore, nel 2020.

Già, imponente. È questo il primo aggettivo. Stiamo parlando di un mastodonte della letteratura, affrontato ora con reverenziale timore, dopo troppi anni di rimandi. Questo è un must, una lettura necessaria alla propria cultura personale, che si sia appassionati di fantasy o meno. Ed io, che ne scrivo in estasi, non lo sono affatto. Eppure sono qui, incantato davanti ad un gigante assopito.
Non mi arrogo io il diritto, e la presunzione, di analizzare la struttura di un’opera che meriterebbe (che ha meritato, e meriterà) anni di studi esegetici, ma mi si permetta di dire che qui, tra le contee e i Regni della Terra di Mezzo, vige un equilibrio formale impensabile. Ogni descrizione, ogni azione, ogni dialogo, per non parlare delle lingue inventate dall'autore, sono resi con una cura maniacale; passaggi che altrove risulterebbero stancanti e forse noiosi, qui sembrano fondamentali. Ad aiutare tutto questo, c’è un intreccio costruito come se fosse una scalata al Monte Fato. È un continuo climax, soprattutto negli ultimi due libri dei sei di cui l’opera è composta. La situazione si interrompe sul più bello, quasi delusi ci si fa coinvolgere nelle avventure di un altro dei protagonisti, per poi interrompere nuovamente sul più bello e ritornare sul precedente, annullando il senso di vuoto proseguendo la storia che precedentemente si avrebbe voluto leggere. E questo, assolutamente per me fatto nuovo, conoscendo anche la trama nei suoi risvolti fondamentali, grazie alla trilogia di Peter Jackson. Tolkien riesce a far digerire descrizioni enciclopediche, doppie aggettivazioni (ricordando anche il tempo in cui è stato scritto “Il Signore degli Anelli”) senza infastidire il lettore, senza rallentare l’azione. Salvo quando necessario, per permetterci di riprendere fiato e, tra una boccata e l’altra di erba pipa, rilassarci prima di continuare un cammino che diviene sempre più arduo.

Qualcuno, nella critica recente, ha voluto sottolineare presunti errori di Tolkien: dal non parlare della politica del regno di Aragorn, al passare sotto silenzio la situazione degli Orchi dopo la fine. Sic et simpliciter, non sarebbe importato a nessuno. È troppo semplice andare a importunare un re addormentato sotto la montagna; toccherà a noi lettori, al di là delle nostre preferenze, riconoscerne il valore, ed aspettarne il Ritorno, ogni volta che la sua opera viene letta o citata. Ed a proposito di “re sotto la montagna”, numerosi sono i rimandi nella Terra di Mezzo all’idea di Medioevo. Quel Medioevo Fantasy, quei medievismi ormai entrati nel sentito comune e nella cultura occidentale, e che ancora appassionano e coinvolgono ricercatori e studiosi, nonché chiunque ancora subisce la malia dell’Evo di Mezzo.

Giungiamo alla conclusione, per la fretta di lasciarvi ad una lettura che ha saturato i miei ultimi tre mesi. No, non è una recensione. È un atto d’amore a una lettura che rappresenterà un termine ante quem e post quem, uno di quei volumi che, a buon diritto, entrerà a far parte delle letture del cuore di chiunque decida, bagagli in spalla, di affrontare il lungo viaggio verso il Nero Cancello.



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