Storia di una lettrice accanita



Buongiorno a tutti, cari lettori. 
Questa volta vorrei parlarvi in prima persona. 
So che di solito evito di farlo, cerco di essere nelle mie recensioni quanto più obiettiva possibile e di lasciare la terza persona sempre, in modo da non creare un qualche tipo di legame che potrebbe influenzare chi mi legge. 
Questa però non è una recensione. 
Questa è la mia storia.
Ricordo benissimo la mia ossessione per i racconti. L’ho sempre avuta, praticamente ci sono nata.
Ben prima di imparare a leggere, costringevo i miei genitori a raccontarmi delle storie. Mia mamma era incaricata di raccontarmi sempre le stesse due favole, le mie preferite: I tre porcellini e Cappuccetto Rosso. 
Mio babbo era invece più creativo, riusciva ad inventarsele di sana pianta. Non sempre erano sensate, ma ciò non mi impediva di sedermi per terra assieme a mio fratello mentre lui entrava nel suo ruolo di Papà Castoro dal divano. 
Uno dei regali più sfruttati da me in assoluto fu una raccolta di musicassette di mio zio, risalenti agli anni '80, in cui si raccontavano favole, storie e fiabe (i primi audiolibri insomma), le ascoltavo a ripetizione, soprattutto I tre porcellini e Cappuccetto Rosso. 
Guardavo le figure dei libri e dei fumetti, attendendo con ansia di riuscire a decifrare quelle linee nere che componevano la trama. 
Inventavo le mie storie per addormentarmi la sera, quando la luce era spenta; personaggi fantastici e dai lunghi capelli che combattevano sanguinosamente contro qualsiasi cosa io volessi. 
Quando mio fratello, un anno più grande di me, cominciò la scuola, lo costrinsi a leggermi dei libri. 
Imparare a leggere per me fu una benedizione. 
Imparai più velocemente dei miei compagni, lessi tutto il sussidiario da sola, durante le lezioni, quando mi annoiavo per la lentezza degli altri bambini; ero curiosa e avida di sapere, avida di storie. 
Dopo aver letto per la terza volta il mio sussidiario, passai ai libri. 
Ero perennemente nella biblioteca scolastica: ci andavo durante l’intervallo, a volte durante le lezioni. 
Nonostante ufficialmente ci potessimo andare solo una volta al mese a prendere un libro alla volta, io ci andavo una volta a settimana e ne prendevo due o tre (alle elementari avevo molto tempo libero). 
In breve tempo passai ai libri da grandi. Lessi a undici anni la biografia di D’Annunzio, imparando, con sommo dispiacere dei miei, la parola ninfomane. L’anno prima avevo imparato la parola eunuco da una biografia di una regina egizia e la parola masturbazione da un thriller decisamente poco per bambini. 
Vi lascio immaginare i miei genitori quando in pubblico alzavo la testa dal libro e urlavo “Mamma! Cosa vuol dire masturbarsi?”. 
Che belle figure. 
In ogni caso, il mio vocabolario si ampliò velocemente, parlavo molto meglio dei miei coetanei, i miei temi erano sempre quelli con i voti migliori, spesso la mia maestra li portava nelle altre classi per usarli come esempio (con imbarazzo misto a orgoglio da parte mia). 
Non prestavo mai attenzione in classe, leggevo sotto al banco; le mie maestre se ne accorgevano benissimo, ma avevo ottimi voti e, visto la rarità di una bambina così devota ai libri, lasciavano correre. 
Leggevo anche durante l’intervallo, nascondendomi sotto le giacche o dietro le porte, sparendo completamente dal mondo e causando non pochi spaventi alle maestre che non mi trovavano. 
Ero quello che si definiva una nerd. I libri erano la mia ossessione. 
Sembrava però andare tutto bene, alla fine andavo bene a scuola, conoscevo moltissime cose in più rispetto alla norma della mia età, giocavo comunque coi miei compagni, solo non sempre e non causavo problemi; dove mi mettevi stavo, bastava darmi un libro. In più avevo (e ho) dieci diottrie, quindi non c’era nemmeno il dramma dell’oculista. 
Tutto bene. 
Eh. Fino a ‘na certa. 
Le cose iniziarono ad andare male in quarta elementare, per poi precipitare in quinta. 
La scuola indisse una specie di gara: chi a fine anno aveva letto più libri, vinceva un premio. Ad ogni libro letto corrispondeva una scheda recensione compilata e un quadretto colorato su un cartellone appeso in classe. 
In breve tempo la mia riga si riempì. 
Vinsi quell’anno. Vinsi anche quello dopo. 
A metà della quinta però, iniziarono a girare voci che baravo, che leggevo solo la quarta di copertina, cosa non solo falsissima, ma assolutamente verificabile grazie alle schede recensione. 
Inizia ad essere offesa e ingiuriata, ricordo che fu soprattutto uno dei maschi, F., ad attaccare. F. era un buzzurro, uno di quelli che solo perché giocava a calcio si credeva chissà chi e ben presto portò la sua combriccola dalla sua parte. 
La situazione alla fine della quinta elementare era questa, ma durò poco, appunto perché ci fu il passaggio alle medie. 
Mi ritrovai però in classe con tutti i miei vecchi compagni. 
Da lì in poi per tre anni fui presa di mira con maggiore o minore intensità, dipendeva dai periodi. 
Ero quella strana, ero emarginata e mi autoemarginavo leggendo invece di socializzare. I ragazzi (maschi, ragazzi a dodici anni mi pare eccessivo) si erano coalizzati in quanto facevano tutti parte della stessa squadra di calcio. Non tutti ce l’avevano con me, ma F. sì e quindi loro lo seguivano per solidarietà. 
Chiariamoci, non ho mai subito nulla passivamente. 
Ero e sono di una testardaggine imbarazzante, ho un carattere molto forte e non permetto a nessuno di mettermi i piedi in testa, non lo permetto ora e non lo permettevo dieci anni fa. 
Rispondevo a tono, spesso con l’arguzia che anni di libri mi avevano regalato, loro non capivano sempre quando li avevo insultati e in che modo e questo li faceva arrabbiare ancora di più. 
Odiavano che rispondessi, odiavano che i miei temi fossero migliori dei loro, odiavano i miei voti (sempre piuttosto alti), odiavano che me ne fregassi di loro, odiavano la mia forza e che non mi piegassi né mi mettessi a piangere. 
Quando mi sputarono nell’astuccio presi un fazzoletto, pulii tutto e tornai a leggere, quando mi scarabocchiarono sullo zaino feci spallucce, quando alzavano le mani io le alzavo a mia volta. 
Ero forte, così superai le medie piuttosto indenne. 
Un’ulteriore forza, furono gli scout, iniziati l’ultimo anno delle elementari. 
Lì avevo degli amici, socializzavo, ero benvoluta e circondata da gente comunque particolare. Insomma, non ero sola. 
Alle superiori cambiai compagni. F. sparì chissà dove e gli unici due della sua compagnia che finirono in classe con me mi lasciarono in pace, ad ulteriore prova che era F. l’unico motivo per cui mi attaccavano. 
Continuavo a leggere. 
Non mi piacevano i miei coetanei, non mi sono mai piaciuti. Li ho sempre trovati immaturi, infantili e tutto sommato stupidi, quindi non volevo parlarci e mi rinchiudevo nel mio mondo. I miei amici li vedevo agli scout e, per l’asociale che ero allora, un pomeriggio alla settimana era più che sufficiente. 
I miei voti cominciarono a peggiorare, ma questo perché avevo sbagliato scuola e non sono mai stata brava a studiare cose che non mi piacciono. 
Questo, unito alla mia voluta solitudine e alla mia, chiamiamola così, inedia, portarono i miei professori a pensare che avessi dei problemi. 
Alcuni pensavano fossero solo psicologici, altri addirittura mentali. 
Una professoressa chiese a mia mamma se fossi un po’ ritardata (con altre parole, ma il succo era questo). 
Un altro iniziò a pensare che fossi depressa e sull’orlo dell’anoressia. 
Io volevo solo essere lasciata in pace a farmi gli affari miei. 
Amavo i miei libri, amavo ciò che mi davano, amavo la compagnia della mia testa. 
Avevo provato a parlare coi miei compagni di classe, ma era sempre una fatica, così avevo rinunciato e passavo gli intervalli a leggere al mio posto, così come facevo durante le lezioni più noiose. 
In classe ero etichettata come “quella strana che legge”, che rapporti puoi avere con gente che ti vede così? 
Ricordo benissimo però due episodi di piccola vittoria personale che ebbi in seconda con e grazie la mia professoressa di Italiano. 
La prima volta fu durante l’intervallo. Stavo leggendo un libro molto divertente e un mio compagno cominciò a prendermi in giro perché sghignazzavo tra me e me. 
La professoressa chiese cosa fosse quel baccano e lui, basito “Ma prof, sta ridendo da sola mentre legge!” 
E lei, per niente turbata dalla cosa, rispose “Certo, è perfettamente normale. I libri fanno ridere, fanno piangere, sono emozionanti.” Poi mi chiese cosa stavo leggendo. 
La seconda volta fu durante l’ultimo giorno di scuola. Per stemperare il clima, ci fece giocare a Tabù, gioco in cui è indispensabile avere un ottimo vocabolario e cultura personale. 
Fu maschi contro femmine, anche se alla fine ci riducemmo a giocare io e la professoressa. Gli altri non ne avevano le competenze e si chiedevano come diamine facessi io ad conoscere così tante cose. 
“Leggo.” Risposi semplicemente. 
Quell'anno fui bocciata. Ero diventata troppo dipendente dalle mie ossessioni, dai miei libri e dai miei manga, al punto da aver perso qualsiasi collegamento con la realtà. 
Quando la tua realtà è piena di gente con cui non riesci a parlare e che ti giudica per quello che sei, che valore ha rimanerci ancorata? 
In ogni caso mi fece bene. Ero stata bocciata solo con due 5, i miei professori lo avevano fatto perché ritennero potessi dare molto di più e così fu (ciononostante il fatto che un mio compagno, solo perché non proprio una cima, con due 4 e un 3 sia stato fatto passare non mi ha mai fatto piacere, due pesi e due misure, giusto?)
Cambiai classe, cominciai a trovare un mio equilibrio. 
Leggevo sempre tanto, ma studiavo anche. Le materie continuavano a non piacermi, ma i miei voti decenti li portavo a casa, in Italiano e Storia macinavo voti parecchio alti. 
Il punto di svolta avvenne in terza, quando cominciai a spostarmi dal mio banco durante l’intervallo. 
Non fu nulla di più che il gelo la causa. La mia scuola era gelida durante l’inverno e il mio banco era nel punto più lontano dal termosifone. 
Cominciai a leggere attaccata al caldo. Un mio compagno, abbastanza asociale anche lui, si attaccò al termo per il mio stesso motivo: freddo. 
Non ci parlavamo, io avevo i miei libri e lui il suo cellulare. 
Un giorno cominciai a leggere La Torre Nera di Stephen King e ne ero così entusiasta che dovevo assolutamente parlarne con qualcuno. 
Ma con chi? Nessuno conosceva Stephen King e di certo nessuno aveva letto La Torre Nera. 
Quasi per caso (e per disperazione), attaccai bottone con quel mio compagno freddoloso: tale K. 
K. mi diede corda, questo perché lui stava leggendo la trilogia di Hunger Games e aveva bisogno di parlarne con qualcuno. 
Non mi ero accorta che stesse leggendo i libri dal telefono, io pensavo stesse semplicemente smanettando con quel coso. 
Questa nostra esigenza ci avvicinò, cominciammo a parlare, mi passò i libri di Hunger Games, ne discutemmo. Diventammo amici. 
Poco tempo dopo arrivò un’altra nostra compagna, G., già amica di K., che ci prese entrambi e ci trascinò fuori dalla classe. Vissi il mio primo intervallo in corridoio senza libri per la prima volta in quasi quattro anni. 
Diventammo amici, passavamo il tempo attaccati a un termosifone in un punto silenzioso del corridoio. Parlandomi, si resero conto che non ero solo la “tipa strana che legge i libri”, che non ero schizzata o demente. Ero simpatica, ero piacevole nonostante fossi diversa. 
Per un motivo o per l’altro, eravamo tutti e tre dei diversi. 
Degli outsider. 
Nei successivi due anni, il nostro trio si allargò e si rimpicciolì, attirammo attorno a noi altri outsider che si videro non discriminati e accettati, ma noi tre rimanemmo stabili. 
Non eravamo una comunità di recupero di gente suonata, eravamo dei ragazzi isolati che si erano trovati. 
Avevo qualcuno con cui parlare dei miei libri e delle mie passioni. 
In quegli anni mi ero anche creata un gruppo fisso negli scout, avevo tre amiche stabili con cui parlare, con cui discutere di qualsiasi cosa, non solo delle scemenze classiche dei sedicenni o diciasettenni. 
Non voglio dire che sia sbagliato parlare di scemenze, ma io non mi ci ritrovavo. 
Ora sono diplomata e laureata, di acqua sotto i ponti ne è passata da quando mi additavano come strana. 
Ora la mia passione è un pregio, un vanto. Non lo è sempre stato. 
Ora quando dico che leggo molto e che la mia tesi di laurea riguarda l’editoria moderna, non ricevo risate, ma complimenti (più o meno sinceri). 
Ora il mio carattere spigliato e a tratti eccentrico mi fa contraddistinguere positivamente, ma ci sono dovuta arrivare a questo. 
Ora se parlo di letteratura ho persone accanto a me che mi ascoltano e rispondono, ma ho dovuto sopportare anni di isolamento e prese in giro per arrivarci. 
Cosa sto dicendo con tutta questa manfrina? 
Sto dicendo che tutti hanno un loro posto nel mondo, sto dicendo che c’è speranza per tutti. Sto dicendo però che non è facile, che si devono ingoiare un sacco di rospi e imparare a combattere le proprie battaglie. 
Sto dicendo che non si deve mai rinnegare se stessi, perché annientarsi per qualcuno che non ti rispetta per come sei è devastante, umiliante e inutile, renderà solo infelici, creando una maschera sempre più pesante da portare. 
Sto cercando di fare di questa mia passione un lavoro, ho appena corretto un dattiloscritto di un esordiente, scrivo per questo blog, leggo ancora moltissimi libri e ora ne sono soddisfatta. 
La mia cultura mi rende interessante, la mia capacità analitica mi permette di avere una visione più ponderata del mondo; leggere mi ha dato apertura mentale, mi ha dato conoscenza, mi ha dato anche uno scopo quando nulla mi stimolava. 
Non mi sono mai, mai rinnegata, non ho mai finto, non ho mai detto di essere chi non ero e ora ne colgo i frutti. 
Io avevo anche la forza caratteriale per farlo, mi rendo conto che non tutti ce l’abbiano, che non tutti siano disposti a passare anni di offese, ingiurie e risatine, ma tutti possono trovare qualcosa che questa forza gliela dia. 
Mi appello a chi sta vivendo una situazione simile alla mia in questo momento: se non vi bastate, se non avete la forza di andare avanti da soli, non isolatevi. Fate uno sport, fate teatro, giocate di ruolo, lavorate ai campi estivi, in un chiosco al mare o al bar della piscina, fate qualcosa per uscire di casa, qualsiasi cosa. 
Trovate persone come voi, avvicinatevi a loro a costo di farvi violenza. 
Non siete soli, semplicemente non avete ancora trovato chi sia strano come voi. 
Io i miei amici strani li ho trovati e me li tengo stretti dalle superiori. 
Dopo quasi un decennio di amicizia, penso che ormai non me li scrollerò più di dosso. 
Meglio, altrimenti con chi posso passare il tempo a notare le differenze tra i libri di Harry Potter e i film, a correre in libreria per l’ultima uscita di una saga che seguiamo tutti o ad analizzare criticamente ogni virgola di qualsiasi libro letto?

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