Recensione - L'inutilità dei buoni di Alessandro Tuzzato

 


Titolo: L'inutilità dei buoni
Autore: Alessandro Tuzzato
Genere: Narrativa
Editore: Mondadori
Pagine: 106
Data pubblicazione: 16 giugno 2020

Roberto non ha ricordi, e occupa il vuoto della mente aggrappandosi alla ripetizione di gesti meccanici e ossessivi, controllato dagli assistenti sociali. Bruno, convinto di essere vittima dell'egoismo altrui, si ostina in modo distruttivo a trovare negli altri approvazione di cui ha bisogno. Storie parallele in un romanzo di formazione al contrario, in cui l'incontro inconsueto di due uomini nei panni del medesimo, fa emergere il lato oscuro di entrambi.
Esordio col botto per Alessandro Tuzzato, professore di italiano in un istituto superiore del veneziano: non è da tutti entrare nella rosa dei finalisti del Premio Calvino! Lui ce l'ha fatta, nel 2016, ed ora ha pubblicato il suo manoscritto, lo scorso giugno, con la casa editrice Divergenze di Pavia.
Un romanzo, dice, nato in un certo modo, diventato completamente diverso una prima volta, diventato in parte altro anche con la stesura finale. Non sappiamo come fossero le altre versioni, a noi questa è piaciuta.
L'inutilità dei buoni si intitola, anche se potremmo finire fuori strada, pensando di trovare personaggi "buoni", appunto, mentre non è affatto così. Qui buoni non ce ne sono. Ma forse è proprio questo il punto.
Chi è davvero buono? E cosa vuol dire, poi, essere buoni?
Accontentare le aspettative genitoriali, rinunciando alla propria identità, può servire a sentirsi buoni? E infine, è davvero necessario esserlo, buoni? E se decidessimo di voler essere/fare i cattivi?
Sono molti i temi che Tuzzato getta sul tavolo ai suoi lettori in una sfida che dura solo un centinaio di pagine, ma non si prefigge di essere semplice: la storia di Bruno e Roberto in realtà è quasi una scusa, uno strumento per farci riflettere su temi universali di grande importanza: come il passato influenzi il presente, come sia difficile la comunicazione anche fra persone che dovrebbero conoscersi benissimo, le nostre fragilità umane, quali sono le maniere in cui l'amore si manifesta, cosa siamo, desideriamo, ricordiamo, ecc.
Bruno parla in prima persona, Roberto in terza. 
"Le dissi dei miei genitori troppo apprensivi e dei bigliettini di mio zio, dei successi scolastici che non mi facevano gioire, dell'esperienza all'estero, del rientro in patria da dove solo pochi mesi più tardi avrei voluto scappare, delle relazioni sentimentali troncate frettolosamente e poi rimpiante, della perenne insoddisfazione. Di un lavoro da poco più di mille euro al mese che non mi permetteva di pianificare il futuro o di mantenere una famiglia, della noia e di tutto il resto". Pag. 71
Qui è Bruno a parlare e chissà quanti si sono riconosciuti in almeno un paio di situazioni. La vita non è poi così facile, anzi spesso è proprio difficile, un po' per tutti. Ci mette alla prova e ci permette di crescere oppure, in un labirinto sempre più oscuro, di scegliere strade meno battute dove può capitare di perdersi.
Roberto è affetto da disturbo ossessivo compulsivo e vive sotto lo stretto controllo degli assistenti sociali e dei dottori, in un continuo alternarsi di manie e fobie, e di ricordi che a sprazzi risalgono nella sua mente, da dove, scopriremo leggendo, sono stati tolti con la forza.
Non voglio raccontare di più perché è quasi impossibile farlo senza spoilerare la storia.
Se volete perdervi un po' nei chiaroscuri della mente umana, accomodatevi!








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