Recensione - Ti avrei chiamata Nina di Caterina Falchi

Autore: Caterina Falchi
Editore: Alcheringa
Pagine: 52
Prezzo: Cartaceo € 9,50
Poco più di trent'anni, studi terminati, un lavoro, qualche storia sbagliata e poi l'Uomo della vita, con cui mettere su famiglia. Ma qualcosa si inceppa. Quel fagottino zuccheroso tanto desiderato non vuole arrivare, nonostante i tentativi mirati, nonostante le cure ormonali, nonostante le preghiere silenziose bagnate da lacrime calde. Con un estremo rispetto verso la vita, ma con un tocco di ironia che per fortuna l'ha salvata in più di un'occasione, l'autrice ha voluto mettere su carta la sua esperienza di "donna di coppia diversamente fertile". Per se stessa e per tutte le altre donne che di questa cosa non ne parlano, ma che per questa cosa soffrono e si sentono sole nel loro dolore di donne a metà. Un'esperienza forte, a volte lancinante, a volte anche divertente, ma che l'ha cambiata per sempre. Perché il diventare madre, nonostante tutto, non è assolutamente scontato.

Buongiorno cari lettori.
Quante volte nella vita capita di aver bisogno di un consiglio, di un supporto, di una pacca sulla spalla, di conforto, di sentirci meno sbagliati e meno soli? Capita spesso, capita a tutti, anche a chi preferisce negarlo e apparire invincibile.
Ecco che allora ben vengano i suggerimenti di amici e conoscenti che al nostro sos
cercano di aiutarci e di rendersi utili; ma quanto spesso nelle loro parole abbiamo trovato dei “suggerimenti fantastici” che, oltre a non esserci d’aiuto, ci hanno fatto sentire ancora più sbagliati? Perché spesso uno le parole le dice, senza rendersi conto che ogni parola ha un suo valore, e un effetto su chi la ascolta.
Ad esempio… vi è mai capitato di sentirvi dire: “Volere è potere”? (Suggerimento fantastico “Fase 1”). Non so voi, ma io ho sempre odiato questa frase, forse perché spesso nella vita mi è capitato di desiderare ardentemente qualcosa, ma di non poterla avere e tantomeno poterla ottenere. E sarà certamente successo anche a Caterina, ogni volta che qualcuno, pensando di spronarla, gliel'abbia detto. Perché nella vita, semplicemente, non si può tutto ciò che si vuole.
Lo sa bene lei, che avrebbe tanto desiderato andare fino in fondo al suo sogno più grande, quello di diventare madre, e che ogni volta che ha provato a tirarlo fuori dal cassetto, quel sogno si è impigliato in un tempo che non era né presente né passato, ma solo condizionale. E pensare che ce l'hanno insegnato alle elementari... "il condizionale si usa per indicare una situazione che avviene solo "a condizione che": ma nessun maestro ci ha insegnato che, "da grandi", quel condizionale l'avremmo usato per parlare, ad esempio, di qualcosa o qualcuno che non potremo e non potremmo avere. 
"Se le condizioni non ci sono, creale" (suggerimento fantastico “Fase 2”).  E qui potrei commentare, ribattere e sbizzarrirmi all’infinito, con le parole: perché a parole sì, è facile. In teoria anche. In pratica invece... In pratica invece succede quello che avrebbe mia nonna detto ogni volta che si doveva sottoporre ad un esame invasivo o, peggio, al nuovo, ennesimo, intervento chirurgico: "Siete tutti bravi a parlare, ma intanto sono io quella che deve andare avanti con la pancia". E chissà quante volte l'avrà pensato anche Caterina, quando arrivava il momento di sottoporsi all'ennesima visita o all'ennesima terapia, nel tentativo di creare in modo artificiale quelle condizioni che la natura aveva negato.  
"Riprovaci, andrà meglio la prossima volta"... oppure "Si vede che non era destino" (suggerimento fantastico “Fase 3” ed ultima perché poi… a quel qualcuno gli stai distante): et voilà, il non plus ultra delle frasi di incoraggiamento, quelle che ci dicono "gli altri" nel tentativo di "tirarci su" e che invece hanno solo un unico risultato: farci cadere nel baratro del nostro buio interiore. Quel buio che fa parte di ognuno di noi, ma che solo se avremo il coraggio di arrivargli fino in fondo, ci permetterà di risalire e di trovare e toccare finalmente la luce. Ma la strada non è nè semplice, nè veloce.
Tutte queste “fasi” le conosce bene Caterina perché, se pur con altre parole e in altri termini (che non vi svelo per non bruciarvi la lettura), hanno accompagnato altrettante "fasi" della sua corsa alla maternità, fino a quando non le è rimasto altro che accettare l'ineluttabilità dei fatti, e accettare che il suo sogno più grande non si sarebbe mai realizzato.
Ci ha messo anni per comprendere il senso di quel dolore che l'ha scavata dentro come una goccia la roccia; ci ha messo anni fatti di saliscendi emozionali che ha attraversato come le dune di un deserto, sprofondandoci dentro e uscendoci a fatica. Ci ha messo anni, e alla fine ce ne ha voluto fare dono.
Caterina si è salvata dall’abisso sudando lacrime infinite, cercando di trasformare il vuoto della pancia in riempimento del cuore e dell’anima. Ci è riuscita anche grazie alla scrittura, quella scrittura che è sicuramente terapia perché permette di far uscire la propria essenza; quella scrittura che alle medie i professori ci insegnavano l’importanza di prendere appunti “perché ricordate: scripta manent”. E l’ha scritto anche perché rimanga Caterina, l’ha scritto per sé, per non dimenticare mai quello che non potrà mai diventare e quello che non potrà mai avere – anche se ci pensa il suo utero vuoto a ricordarglielo ogni giorno; ma l’ha scritto soprattutto per le altre donne che, come lei, si troveranno ad affrontare la salita verso un sogno che si dovesse rivelare irrealizzabile. Perché di donne che non riescono a diventare mamme ce ne sono molte, anche se se ne parla molto poco: donne che soffrono le pene dell’inferno, un inferno che brucia l’anima e il corpo.
Tutte queste cose Caterina le sa, perché quando stava attraversando l’inferno avrebbe voluto trovare conforto in un libro che raccontava quello che stava succedendo a lei: per questo ha trovato il coraggio,  per dire alle donne “non siete le sole, non siete sole”.

2 commenti

  1. Che libro forte cavolo. Mi ricorda Lettera ad un bambino mai nato, che ho letto. Da come ne parli questa sembra una riflessione più sulla problematica del non riuscire a diventare madre, mentre il libro della Fallaci si incentra di più su una riflessione sulla vita in generale...

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  2. Ciao Francy,
    sono due trattazioni completamente diverse: Caterina nel suo libro si rende testimonianza del percorso che ha affrontato nel tentativo di realizzare il suo sogno di maternità, trattandolo talvolta con la drammaticità che l'ha pervasa, talvolta con quell'ironia onesta che le ha permesso di salvarsi.

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