Titolo: Viaggio al termine della notte
Autore: Louis-Ferdinand Céline
Data di Pubblicazione: novembre 1992
Editore: Corbaccio
“Ritrovai la terra pochi istanti più tardi e la notte, più spessa ancora sotto gli alberi, e poi dietro la notte tutte le complicità del silenzio”.
Basterebbe questa frase, a descrivere un testo che tutto può non essere, meno che un capolavoro. Può non rientrare nei gusti di larga parte del pubblico, può infastidire, sconvolgere, ma non può non essere letto, ammirato per alcuni passaggi di una liricità mista a una infinita malinconia, che accompagna la vita sordida e a volte depravata del nostro protagonista, Ferdinand Bardamu.
Già, Ferdinand, come il nostro autore: Louis-Ferdinand Céline. Discusso, incompreso. Lungi ogni valutazione morale su di lui, rimane solamente la sua arte. Sconvolgente, iconica. Perché Ferdinand, quello del romanzo, non è altri che il riflesso di colui che gli ha donato vita, e sofferenze, attraverso la penna, e solo in questa prospettiva si può capire cosa, o meglio, chi, è questa opera.
Cercare di recensire quello che, a mio parere, è definibile un monumento al lato più turpe e nero dell’essere umano, è una operazione che, necessariamente, non può passare da un semplice snodo di trama, da questo o quell’altro evento. Non è una operazione basata semplicemente sulla narrazione poiché questa non è che il complesso degli ammassi più oscuri e disperati della psiche dell’essere umano novecentesco. Ed è questo il nostro campo d’azione, un uomo il quale non è più in grado di agire storicamente, un uomo fermo anche se in movimento, dalla nebbia lattiginosa dei campi di battaglia della prima guerra mondiale, alle scenette degradanti alla dignità umana dell’Africa coloniale, dall’insensibile grigiore delle metropoli americane, al silenzioso fracasso di una solitudine parigina, consumata nell’ozio, nella lordura morale e nelle piccole bassezze a cui ognuno di noi si arrende nella vita.
Ferdinad è un militare codardo, un medico che stenta a vivere del suo lavoro e passa (non senza qualche ripensamento) sulla morte di un suo piccolo paziente, un uomo che si abbandona volentieri ad ogni turpitudine, capace di tradire benevolmente un amico. Eppure, c’è un eppure: ha la sensibilità espressiva dell’artista. E questo Ferdinand è, ancora una volta, entrambi, che sia il dottor Bardamu, o che sia l’autore esiliato per scritti antisemiti.
Si respira tra le sue pagine l’olezzo marcio di una società incapace di migliorare di fronte ai milioni di morti del primo conflitto mondiale. Si respira l’aria pesante, calda e diarroica delle colonie dell’Africa nera. Ci si inoltra tra le pieghe del sudario di Parigi, con i tanti piccoli omiciattoli che tentato di sopravvivere, in un modo nell’altro, tanto alla vita, quanto alla noia. La vita sociale pare una agonia lunga, mortifera, insensata. Ogni rapporto è schermato, spesso non avrebbe, in altre situazioni, avuto la possibilità di essere raccontato come opera letteraria. L’altro, è uno spazio occupato dal nulla.
Tuttavia, al termine del viaggio irrompe la notte. Fragorosa, magnifica, silenziosa. Ogni volta che questa è nominata, ogni volta che questa cala sul nostro protagonista, c’è una redenzione, una liberazione. L’uomo, la massa, scompare, per lasciare spazio a sé e solamente sé. Da solo, Ferdinand, può trovare un bugigattolo dove essere se stesso, dove essere lirico e dove essere artista.
“Ma uno come me dove potrà ficcarsi?”, il verso di Majakovskij sembra essere perfetto per il nostro Ferdinand. Condanniamo con forza, e questo sia l’unico giudizio sul Ferdinand autore al di là della sua opera, il suo antisemitismo, le sue considerazioni razziste. Ma uno come lui, dove avrebbe mai potuto trovare una tana se non nella notte? E l’amato me stesso del poeta russo sembra essere la figurazione di quest’uomo, incapace di liberarsi dalla deriva nichilista novecentesca se non nel singolo, nella più alta espressione del suo pensiero, libero dagli altri e dal condizionamento di una vita materiale di stenti.
Per concludere, passiamo all’aspetto meramente tecnico, che non può e non deve precedere assolutamente quello delle sensazioni che quest’opera fa nascere nel lettore: disgusto da una parte, e dall’altro disperato e mesto abbandono. E se la tecnica risulta del tutto secondaria, non può non essere considerata monumentale. Passaggi di freddezza e secchezza espressiva, si alternano a passaggi allucinati e sognanti, piccoli tempi diluiti in pagine e pagine finiscono in poche righe in cui anni corrono veloci come l’instancabile “progresso”, quel mito imposto, che dalle nostre pagine risulta essere nient’altro che una bugia. Non spaventi la brutalità delle espressioni, la volgarità, la perversione di alcune pagine; questa ci terrorizza, solamente perché è parte dell’essere umano, quella parte che vogliamo occultare dietro le convenzioni sociali. Perché Ferdinand è artista, è isolato, si erge stoico contro il mondo, ma Ferdinand è tutto ciò che temiamo di noi stessi, delle nostre immancabili brutture. E non spaventi il razzismo di Ferdinand, perché il suo è un manifesto di condanna a ciò che era il colonialismo, spesso edulcorato per essere comunicato al grande pubblico, ma così distorto nell’immagine delle sue mostruosità.
È difficile, sì, recensire quest’opera, perché significherebbe imbrigliare un’anima grande e disperatamente malinconica come quella di Céline. Sono convinto che, tutta la vita dell’uomo Ferdinand e del personaggio Ferdinand, si possa concludere sempre nei versi di Majakovskij:
“Passerò trascinando il mio enorme amore
in quale notte delirante e malaticcia?
Da quali Golia fui concepito
così grande,
e così inutile?”
Sicuramente da leggere e rileggere molto divertente nelle prime pagine , la sua descrizione a tratti comica degli orrori e della stupidita`della guerra e`estremamente efficace , in poche pagine trasmette il peggio dell'Africa coloniale e la miseria morale e pecuniaria come risultato del peggior capitalismo americano . Descrive un mondo che pochi conoscono ma che molti vivono oggi come ai tempi del romanzo da cui sembra poter uscire solo in un modo .
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