Blog Tour "La strada scomparsa" di Beatrice Masci

 Ben ritrovati, readers!

Come promesso oggi sono con voi per il secondo intervento di Paper Purrr nell'ambito del Blog Tour + Review Party dedicato a La strada scomparsa. Chi mi ha seguita ieri (qui trovate la recensione, nel caso l'abbiate persa) sa che parlo dell'evento organizzato dall'agenzia Servizi d'Autore per questa nuovissima raccolta di racconti di Beatrice Masci.

 

 


 

Come sempre prima di partire con la tappa vi riporto i link Amazon dell'opera, in cartaceo (qui) e digitale (qui).

Bene allora, come potete vedere dal programma qui sotto siamo alla terza puntata, ovvero la tappa del blog tour riguardante la pazzia 😮

 

 


 

Nella recensione di ieri vi ho descritto La strada scomparsa come un libro popolato da personaggi semplici, spesso persone comuni alle prese con problemi tutto sommato "normali" (sebbene questo termine sia un po' troppo inflazionato per avere ancora senso). Dunque cosa c'entra la follia con i racconti di Beatrice?

Beh, il motivo per cui ho voluto trattare proprio la tematica della pazzia tra tutte quelle proposte (interessantissime) sta proprio nella sottigliezza con cui deve essere considerata in merito all'opera in questione: qui la follia dei personaggi resta in sottofondo, non sempre si vede e talvolta può essere addirittura confusa con il buon senso, con la ragionevolezza... Con la normalità, appunto.

Da una parte abbiamo personaggi che sembrano pazzi ma non lo sono: ieri vi ho citato Manfredi, il pittore del primo racconto; ebbene, tutti lo considerano un po' svitato perché di punto in bianco decide di ritirarsi a vivere in un posto isolato privandosi di qualsiasi contatto umano. Ma in realtà Manfredi non è pazzo, è ferito. Ferito dalla perdita della moglie, ferito da una vita che all'improvviso sembra non avere uno scopo.

E il fatto che sia un pittore dotato non semplifica nulla: si potrebbe pensare che un artista abbia sempre un asso nella manica e che a differenza degli altri possa ritirarsi a comando nel "suo" mondo estraniandosi dai dolori. Tuttavia la verità è che l'arte spesso è un fardello più che un conforto: le persone come Manfredi hanno la capacità di vedere la bellezza ovunque, ma proprio per questo rischiano di andare in pezzi quando sbattono contro il lato duro dell'esistenza. Tutto ciò che prima dava gioia a Manfredi e gli ispirava speranza, all'improvviso muore insieme alla moglie di lui. La voglia di creare è svanita, il senso che stava alla base di ogni cosa si è perso, tutto ciò in cui lui credeva pare essersi trasformato in una bugia... Perché come poteva essere vero, se una vita intera è stata cancellata in un istante? La vita della moglie, certo, ma anche quella di Manfredi stesso.

Lui non è pazzo, anzi forse è più lucido di tante persone che liquidano i dolori come inevitabili senza soffermarsi sul significato che essi hanno in un orizzonte più ampio. Manfredi invece si pone questa domanda, e dato che non trova risposta sente il bisogno di lasciare andare tutto ritirandosi a vivere in una baracca sperduta. Quella che agli occhi degli osservatori ignari è follia, è in realtà una crisi d'identità.

Più avanti nella raccolta incontriamo un altro personaggio un po' strano, l'architetto Corrado del racconto "La partita". Ora non voglio spoilerare la storia, ma per certi versi anche questo signore potrebbe essere considerato pazzo, poiché compie una serie di decisioni apparentemente dannose per se stesso: in poche parole fa del bene agli altri a scapito di se stesso. Se Corrado fosse paziente del dottor House, lui non esiterebbe a mandarlo in psichiatria 😂 E non avrebbe tutti i torti perché credo che sia istinto naturale di ogni uomo pensare al proprio benessere prima che a quello di altri. Comunque no, Corrado non è un folle: lo sarebbe se pretendesse che tutti ragionassero come lui, se fosse convinto che l'essere umano vive su una nuvoletta rosa in cui tutti si sacrificano per il prossimo.

Tuttavia Corrado sa che la sua scelta è soltanto sua, e non crede di essere migliore di altri per averla presa; tanto è vero che quando l'amico Davide mostra di essersi incamminato su una strada diversa lui non solo non lo rimprovera, ma non gli dice proprio niente. Comprende il punto di vista di Davide, anche se magari non lo condivide.

Interessante è poi notare come Beatrice abbia descritto con arguzia le reazioni tipiche della gente: decidere di andare a vivere in isolamento e decidere di aiutare gli altri sono semplicemente due scelte, ma il "popolino" è pronto a guardare male Manfredi (che comunque non fa del male a nessuno) e a guardare con ammirazione Corrado solo perché quando uno dona qualcosa (e fa il comodo di tutti, quindi) è buono, quando invece vuole stare per conto proprio è asociale, antipatico, svitato.

Pazzi possono sembrare anche i fratelli Lucio e Goffredo, talmente divorati dai rancori da litigare per anni senza rendersi conto delle cose bellissime che possiedono e che potrebbero dividere senza darsi fastidio a vicenda. Ma i vecchi rancori sono davvero tali? Perchè se apparentemente i gemelli bisticciano perché le mucche di uno invadono il terrtorio dell'altro, a monte possono esserci motivazioni più serie e non facili da dimenticare. La prima cosa da fare quando una persona sembra "pazza" forse è proprio andare a vedere cosa è rimasto sul fondo, cosa ha dato origine a tutto il resto.

La vera sfida di Lucio e Goffredo non è quella di dimenticare, ma quella di superare, salvando ciò che è possibile salvare.

La regina cattiva di Biancaneve (sì, nella raccolta c'è anche un pizzico di fantasy 😊) sembra pazza e malvagia... Malvagia forse lo è davvero, ma pazza non saprei perché chi ha detto che l'ambizione è una cosa sbagliata?

Vicino a tutti questi folli apparenti, di contro, ci sono alcuni mezzi folli che paiono persone normalissime. Penso per esempio ai tre nipoti del racconto "Il testamento": ragazzi normalissimi che indugiano su peccatucci di natura personale come desiderare i soldi del nonno morto o tradire la moglie con un'amante più bella. Eppure basta grattare un poco la superficie per trovare un trauma degenerato in anoressia, complessi di inferiorità, speranze perdute.

Chi è più pazzo? Un tipo come Corrado o Manfredi che sceglie di fare della sua esistenza ciò che desidera, oppure colui che resta intrappolato in una vita che detesta senza riuscire a cambiare?

E parliamo anche di Franco, il protagonista di "La seconda occasione" (o meglio, parliamo di una certa versione di Franco... Per capire cosa intendo dovete leggere il racconto 😂): un uomo che si lascia assuefare dalla quotidianità al punto di arrivare per esasperazione a mollare tutto e sparire nel nulla non è forse pazzo? Perché si è trascinato fino a quel segno? Perché non si è accorto prima di essere stanco o infelice? Perché le persone, e soprattutto gli adulti, non ascoltano il cuore e poi perdono la serenità?

In questo racconto c'è anche un parallelo molto interessante di Franco, ovvero la signora Giulia, una vecchina che lui incontra durante la sua "libera uscita". Sarebbe facile dire che la vera pazza è proprio Giulia, ma in realtà lei è soltanto anziana e malata. E se continuare a sperare in un miracolo nonostante tutto è ingenuità, la nostra solita visione pessimistica (perché pure io al posto di Giulia avrei perso le speranze) è cinismo. Non so quale dei due comportamenti sia più vicino alla follia.

Tutto questo per dire che in realtà la follia, almeno in parte, è tipica di ogni essere umano e anche di quella che ci ostiniamo a chiamare normalità. Tutti noi siamo folli quando beviamo tre tazze di caffè al giorno per restare svegli invece di dormire di più, o quando facciamo un mucchio di cose che destiamo solo perché è la routine. Ma nello stesso tempo non siamo pazzi, non se alla base delle nostre azioni c'è un motivo: beviamo caffè per lavorare, sorridiamo a chi ci sta antipatico per quieto vivere eccetera eccetera. Siamo folli, ma non lo siamo davvero perché la vita è complicata e ognuno la affronta come può.

Prima di concludere devo dedicare un discorso a parte per il racconto "Liberi anche in carcere", uno dei miei preferiti. Si tratta di un caso particolare poiché in questa storia si parla di una prigione, e ai detenuti di questa prigione viene fatta una cosa che potrebbe traquillamente portare alla pazzia. Se io vivessi in una simile situazione, impazzirei subito. Ma il protagonista invece non impazzisce nonostante la sua condizione e il corredo di violenza che ha alle spalle; anzi è proprio lui a dare una lezione a coloro che volenti o nolenti sono complici di un sistema ingiusto.

Sarebbe interessante parlare più nel dettaglio di questo racconto perché potremmo discutere del divario tra sicurezza e diritti fondamentali dell'essere umano, un argomento per molti versi attuale... Ma l'argomento di oggi è la pazzia, perciò non vado oltre.

Dico solo che i personaggi di Bea dimostrano una verità molto importante: impazzire non è un problema, anzi è inevitabile; il trucco è saper rinsavire.


Vi ringrazio di cuore per avermi seguita sebbene la concisione non sia tra le mie qualità 😂 E vi invito ovviamente a seguire le prossime puntate dell'evento, viaggiando sui vari blog partecipanti e mettendo like alla pagina Facebook dell'autrice (qui).

Alla prossima, tesori <3

Elisa

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