Gwendy ha dodici anni, vive a Castel Rock, piccola cittadina tranquilla nel Maine, sta per iniziare le medie, ha qualche problema di peso ed è stanca di sentirsi chiamare dirigibile dal bullo della scuola.
Per questo motivo, Gwendy ha passato l’estate a correre tutti i giorni (domeniche incluse) su per la Scala del Suicidio, scalinata di ferro a zig zag di oltre 400 di gradini tristemente famosa per essere stata il mezzo per il suicidio di un paio di persone.
Gwendy vuole dimagrire, così da iniziare la nuova scuola senza più quel soprannome infamante. Ogni volta che arriva in cima alle scale guarda in basso per controllare se finalmente si riesce a vedere le punte dei piedi.
È una settimana che Gwendy, quando arriva in cima, vede un
elegante signore poco sotto la quarantina seduto sulla panchina del parco e il
giorno 22 agosto 1974, l’uomo le parla.
È il signor Farris e ha un regalo per Gwendy.
Rimani ancora un po'. Sei proprio una delle persone che sto tenendo d'occhio di recente.
Si tratta di un’elegante scatola di mogano sulla cui cima ci
sono otto bottoni: sei, accoppiati per colore, disposti su tre file - verde chiaro, verde scuro, arancione,
giallo, blu e viola - quindi uno rosso ed uno nero alle due estremità. Infine,
si trovano due levette - una per lato - ed una feritoia nel mezzo.
I bottoni sono molto duri da schiacciare, il che è un bene,
la avvisa il signor Farris, spiegandole il funzionamento della scatola: i colori
corrispondono ai continenti del mondo, il rosso è “quello che ti pare”, mentre
il nero è la fine di tutto.
Una levetta fa comparire un rarissimo dollaro d’argento dal
valore di circa 600 dollari, il primo di una lunga serie, l’altra fa apparire
un cioccolatino dalla forma di un animale dal sapore più delizioso che Gwendy
abbia mai provato.
Lei lo vuole subito e non soltanto perché è magnifico. Lo vuole perché è suo. Come se fosse qualcosa di molto prezioso, molto amato, perduto da così tanto tempo da essersene dimenticata , ma ormai ritrovato. Come se le fosse appartenuto in un'altra vita, quando era una principessa o roba del genere.
Gwendy non sa perché Farris le abbia affidato la scatola, ma
la custodisce come un tesoro. Ogni giorno mangia un cioccolatino che le dà
diversi vantaggi: dimagrisce, non mangia più eccessivamente, diventa veloce
nella corsa, recupera i decimi di vista, intelligente al punto da ottenere il
massimo dei voti senza studiare, memoria di ferro, crescendo diventa anche
bellissima.
Insomma, grazie alla scatola, diventa la ragazza perfetta.
Ma Gwendy inizia ad essere attirata dalla scatola, dai
bottoni. Deve capire a cosa servono, anche se una parte di lei lo sa già.
Gwendy deve premerli, deve convivere con ciò che la scatola le
provoca, nel bene e nel male.
Perché non importa quanto la sua vita sia perfetta, quella
scatola è un’arma a doppio taglio da cui non può sottrarsi.
Sembra che ultimamente King si stia dando davvero alle
commercialate.
Francamente, non mi sento molto di catalogare questo libro
come “romanzo”, perché non lo è. È un racconto, neanche tanto lungo, che si
legge in due ore. Qualcosa che poteva essere tranquillamente inserito in una
delle antologie di racconti che ogni tanto escono (vedi Scheletri e Quattro
dopo mezzanotte).
Non è brutto, per niente, anzi è molto godibile, ma è troppo
veloce e semplice per il prezzo che ha.
Non c’è la solita caratterizzazione dei personaggi che di
solito King si premura di fare, ma perché non c’è il tempo di farla.
Gwendy è in assoluto la protagonista del romanzo, una
ragazzina normalissima, con pensieri normalissimi e, a parte la scatola, una vita normalissima.
Non ha chissà quale turba, qualche abilità speciale o altro
che possano giustificare la scelta di Mr. Farris di dare la scatola proprio a
lei piuttosto che a qualcun altro.
Il punto di vista è il suo, narrato in terza persona, e
spesso ci sono segni evidenti che, anche se non direttamente, è Gwendy a parlare, questo a causa di
espressioni spesso gergali o comunque modi di fare ed esprimersi
adolescenziali.
È un libro scritto a quattro mani con Richard Chizmar,
editor e sceneggiatore e si vede. Ci sono dei punti all’interno della storia
che ti portano a dire “Ecco, questo è King!”, ma in generale la presenza di un
altro autore stempera molto il solito tono Kinghiano.
È meno incisivo, meno violento, meno pensato, meno
livellato.
È quasi banalotto.
Rimane comunque molto godevole da leggere, ma non si deve
comprare con l’idea di immergersi nell’orrore e nella paura o di venire
travolti dall’esigenza di leggere fino alla fine rapiti dalla trama.
Lo consiglio a chi vuole qualcosa sullo stesso livello di
Cujo, Le notti di Salem o It?
No.
È un libro per chi vuole leggere qualcosa di veloce in tema
horror, per qualcuno che ha una serata da dedicare a un libro davanti al fuoco
o sotto le coperte, oppure per chi ha un bel pomeriggio di sole per stare
sdraiato al parco con un libro in mano.
Oppure, ancora meglio, è un libro perfetto per i neofiti di
King.
Non hai mai letto nulla del Re e non sai se ti piace? Questo
è perfetto. Veloce e semplice, ha comunque abbastanza di King (a partire dalla
protagonista femminile) da poter essere considerato un ottimo test.
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