Recensione – L’ultima testimone di Cristina Gregorin

 


Autore: Cristina Gregorin

Editore: Garzanti

Pagine: 320

Data pubblicazione: 10 settembre 2020


        

«Cercate Francesca perché solo lei conosce la verità.»

Sono le ultime parole di un uomo anziano che sta morendo. Una frase semplice, ma capace di stravolgere la routine che la donna si è costruita con difficoltà negli anni. Una routine in cui non c’è spazio per il passato. Ma troppe domande attendono da tempo una risposta e ora la costringono a tornare a Trieste. In quella città, quando era solo una ragazzina, ha assistito a qualcosa che ha cercato con tutte le forze di dimenticare. Qualcosa che ha a che fare con gli amici di sua nonna, i loro misteriosi contatti e un passato oscuro legato a vicende della seconda guerra mondiale: soldati di opposte fazioni, delazioni, vendette in una città sospesa tra frontiere contese e destini incerti. Uomini che hanno combattuto nella Resistenza, cercando di fermare il nemico, con qualunque nome o divisa si presentasse, e hanno insegnato a Francesca a non fidarsi di nessuno. Ma combattere fino in fondo per i propri ideali significa fare scelte che cambiano il futuro. Scelte che hanno un prezzo. Scelte che portano con sé segreti, per i quali non dovrebbero esserci testimoni. Ora tutto ricade su Francesca. Perché qualcuno l’ha chiamata a ricordare. Perché la storia più sembra lontana più è a un passo.


“Avevo un amico, tanti anni fa. Era come un fratello. Si è suicidato nel 1976. Si chiama Vasco Cekic. […] L’unica che può conoscere la verità sulla sua morte è Francesca Molin, se ancora la ricorda, era solo una bambina. […] Ti prego, Mirko, trova Francesca Molin. Per la pace di tutti”. (pag.10)

 

Siamo a Trieste, oggi. Sono le parole del quasi centenario Bruno Tommasi al nipote Mirko, a cui chiede di trovare questa donna “per la pace di tutti”.

La prima domanda che nasce spontanea è: perché sollevare ora una questione che pare fin da subito perigliosa, quando tutti sembrano aver vissuto benissimo fino ad oggi senza esserne a conoscenza?

Quelle che seguono, immediate, sono conseguenti: chi è Francesca? Cosa sa? Cosa dirà?

È inevitabile, l’uomo è per sua natura curioso, non c’è segreto a cui possa resistere, ma è davvero così importante, sempre e comunque, sapere la verità su qualcosa? E fino a che punto è lecito spingersi in nome di questa verità? E la verità, a cosa o a chi è utile? O, piuttosto, necessaria?


Sono tanti i quesiti che questo romanzo solleva, sullo sfondo di una Trieste, terra di confine, contesa da Italia ed ex Jugoslavia. Non è una lettura di “evasione”. Se decidete di leggerlo, siate coscienti che tocca molti nervi scoperti della nostra Storia e altrettante sicurezze che tutti noi pensavamo di avere su di una pagina tragica e ancora troppo poco conosciuta (probabilmente con consapevolezza).

 

E difatti anche Mirko Brankic, storico e ricercatore, non è affatto dell’idea di partire per questa “ventura”, lo fa solamente su insistenza della zia, ma mette tutti sull’avviso di quello che poi, purtroppo, sarà in effetti l’epilogo a cui andranno incontro:

“Scavare nel passato del nonno, a questo punto, è rischioso, viste le sue parole. Il 1976 non è lontano abbastanza, c’è ancora una testimone, possono esserci delle conseguenze, avvisa, lui che per professione sa che gli scossoni della storia continuano come la scia di un terremoto per un tempo imprevedibile.” (pag. 23)

 

Mirko intraprende il viaggio nella memoria e nei segreti, trovandosi suo malgrado (e nonostante il suo approccio empirico da professore) sempre più invischiato in avvenimenti troppo vicini e troppo drammatici e dolorosi per essere abbandonati senza andare fino in fondo.

E costringerà, un passo alla volta, Francesca, che pure fa resistenza, a rimettere insieme i pezzi di ricordi spaventosi volutamente seppelliti, che hanno pesantemente influenzato la vita di lei e la sua propensione nei confronti degli altri. In questo cammino non sarà solo lei a dover ricordare, ma anche sua nonna Alba, che nonostante l’età sembra avere ancora ricordi molto vividi e sembra sapere più di quanto dica. Così come Francesca, o come Carlo, o Mario, tutti depositari di verità inconfessabili.

Lentamente emergono le figure dell’amico del nonno Bruno, Vasco Cekic, e con lui Liliana, Paulo, e molti altri protagonisti di guerra e dopoguerra.

La trama è tutta da scoprire. Leggendo.

 

A Gregorin è andata, meritatissima, la menzione speciale fra gli otto finalisti del Premio Calvino 2019: meritatissima, davvero, anche per essere riuscita a parlare, con una scrittura asciutta, pulita, piacevole, di argomenti ancora così controversi, di un capitolo buio della nostra Storia, con un’obiettività ammirevole, ancor più considerando il coinvolgimento personale: l’idea del romanzo, svelerà in una nota a margine del romanzo, è nata infatti dai ricordi di guerra di nonni e genitori, a cui ha “voluto rendere omaggio alle persone semplici che hanno sofferto e sono state dimenticate”.

Forse anche un po’ con l’intento di renderci più consapevoli che la guerra coinvolge tutti, chi combatte e chi no, e che tutti sono stati vittime della sua brutalità, da qualunque parte l’abbiano combattuta o subìta, come dice bene la vecchia Alba a Mirko: “Lei usa la parola “guerra” come fanno quelli che non l’hanno vissuta. La guerra è un’altra cosa, professore, non è quella dei libri” (pag. 246).

 

Ricordiamocelo, perciò, quando ci avviciniamo a questi capitoli di storia, di farlo in punta di piedi, senza pregiudizi, e con molta com-passione per tutti i piccoli e grandi protagonisti che questi capitoli hanno, troppo spesso involontariamente, contribuito a scriverli.

 


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