Blog Tour "Gli irredenti" di Marco Avonto - Intervista all'autore

Ben ritrovati, miei cari readers 💜

Come state passando questo weekend "lungo"? Siete tutti in vacanza? Spero di sì, e spero che oggi da voi ci sia un tempo migliore di quello che c'è qui da me 😂

Vi avevo promesso che sarei tornata con un'altra tappa del Blog Tour dedicato a Gli irredenti, e infatti eccomi qui 😊 L'autore Marco Avonto è stato così gentile da concedermi una bella intervista, nel corso della quale abbiamo sviscerato alcune delle tematiche più importanti del libro. Anche se l'opera è talmente ricca che esaurirle tutte in cinque domande non era possibile 😊

Perciò vi invito innanzitutto a leggere il romanzo, così da potervi fare personalmente un'idea della storia e delle riflessioni che essa suscita: potete acquistare qui la vosta copia digitale, oppure se preferite il cartaceo lo trovate qui 😉

E se volete saperne ancora di più, non dimenticate di seguire gli eventi dedicati al libro: se vi siete persi la tappa precedente del Tour, incentrata sulla concezione dell'omosessualità nell'Italia degli anni '90 (la quale è stata pubblicata proprio su Paper Purrr un paio di giorni fa), andate a recuperarla qui 😊

A questo punto direi però di non indugiare oltre e di lasciare finalmente la parola all'autore 😄

 



 

Ciao, Marco. Grazie mille per avere accettato di fare quattro chiacchiere con me 😊 Cominciamo? 

1)   Nel tuo romanzo Gli irredenti ci sono molti personaggi. Sarà una domanda banale, ma ti chiedo quali difficoltà hai incontrato (se ne hai incontrate) nel gestire tanti personaggi diversi facendo in modo che ognuno di loro avesse una sua caratterizzazione, una sua voce, una sua nota distintiva.

Ciao, grazie a te per l’ospitalità! Ti rispondo dicendo che la scelta del romanzo “corale” è legata in qualche modo alla genesi dell’opera, che nasceva come una raccolta di racconti. La mia idea era quella di raccontare la storia di un universo geografico ben definito – ancorché fittizio – attraverso le storie, variamente intrecciate, di alcuni personaggi che si trovano a condividere quello spicchio di provincia italiana. Nel corso del tempo e lavorando ai vari racconti mi sono reso conto che a partire da quell’ossatura, da quella struttura iniziale, la forma del romanzo avrebbe probabilmente avuto una apparenza più organica e coerente, facilitando il compito al lettore (che all’epoca era decisamente “potenziale”). A questo punto i vari protagonisti dei singoli racconti sono diventati i “punti di vista” o le “voci narranti” del romanzo. Per venire più nello specifico alla tua domanda, la difficoltà che ho riscontrato era legata al fatto che quando adotti una tecnica di questo genere devi provare a rendere ogni personaggio identificabile: all’estremo, se io apro il romanzo senza leggere il nome del protagonista di un dato capitolo, dovrei essere in grado di riconoscere la sua voce, il suo pensiero. Così all’interno degli Irredenti i punti di vista sono caratterizzati per uno stile, un tono, una forma di monologo interiore che li identifica (o almeno spero) rispetto a tutti gli altri. La voce di Marisa è spezzata, rude, scostante, come se il personaggio scrollasse costantemente le spalle sbuffando; Landi invece vive una battaglia con i propri demoni interiori che intervengono spesso a interrompere il flusso del suo pensiero quasi volessero mettere a nudo ogni potenziale ipocrisia; per Chiara, il registro che ho provato a immaginare è quello di un’adolescente che si sente rifiutata dai genitori; per Tommaso nel corso dell’opera ho dovuto cambiare registro tre volte, per ognuna delle fasi attraverso le quali si sviluppa il suo arco narrativo. Comune a tutti i personaggi invece è il registro popolare-provinciale, crudo e sboccato come quello che ci si può aspettare da personaggi come gli Irredenti.

 

2)    Anche il tempo gioca un ruolo fondamentale nella tua storia, mi sembra. Per esempio è il tempo che permette al protagonista di elaborare ciò che gli è successo, e si sa che i pensieri e i sentimenti a lungo covati portano sempre a risvolti imprevisti. Ma quanto è davvero importante il tempo nel tuo racconto?

Come dici tu, il tempo è davvero il protagonista “ombra” o “trasversale” di questo romanzo, insieme ad un altro, che è rappresentato dal luogo (la provincia italiana sospesa nella terra di nessuno tra la fine della dimensione puramente agricola e il declino di quella industriale). Il tempo è importante perché tutti i personaggi a vario titolo si trovano a fare i conti con esso e a subirne gli effetti, non solo evidentemente dal punto di vista fisico. Se per Tommaso il trascorrere del tempo si misura in oltre vent’anni ed è quello che gli permette (forse?) di elaborare ciò che ha fatto e di cercare di scendere a patti con le proprie azioni e con ciò che resta della sua famiglia, per altri lo scorrere del tempo è più immediato: quasi concitato nei capitoli dedicati a Carmine e alla sua ludopatia, come per effetto di una febbre che lo attanaglia; frenetico nell’alternanza di flashback e presente nei dialoghi interiori di Landi, quando pensa a suo figlio prima e dopo l’incidente e prima e dopo l’omicidio che dà l’avvio alle vicende del romanzo. 

 

3)   Il protagonista di Gli irredenti non è un assassino, almeno inizialmente, eppure commette un omicidio nel momento in cui ha paura che un suo grande segreto possa venire divulgato rovinandogli la reputazione. Molte persone per bene sostengono che non sarebbero mai capaci di uccidere qualcuno, ma tu cosa ne pensi? Si può dire che tutti gli uomini hanno un prezzo, cioè che tutti in fin dei conti possono trasformarsi in assassini se c’è in gioco qualcosa che ritengono fondamentale?

Non è un assassino – all’inizio, come giustamente dici tu. È sicuramente una personalità problematica. Un violento, un rissoso, un ragazzo che forte della sua posizione sociale non esita ad attaccar briga, a minacciare, a picchiare chiunque osi indispettirlo. Ma il punto cruciale qui è la motivazione che lo spinge a passare dall’essere un “violento attaccabrighe” a diventare un assassino. È la sua reputazione che cerca di mantenere, quella del Bue che cerca di incutere timore a chiunque come un qualsiasi bullo di paese, oppure quella del padre? Quel padre che non è solo il sindaco, ma anche il proprietario di una delle poche attività intorno alle quali gravita l’economia del paese? Ed è per paura di danneggiare quest’uomo che forse è in grado di incutere più timore di quanto lui, il Bue, sia mai stato capace di fare, che il protagonista si trasforma in un omicida? In questo senso credo che la scelta del protagonista sia dettata da un misto di sentimenti e sensazioni che in un raptus incontrollabile lo spingono a compiere un gesto irreparabile.

Infine, preferisco pensare che non sia vero che tutti hanno un prezzo (anche se purtroppo la pratica e l’età mi farebbero supporre il contrario). Penso però che tutti abbiano un “punto di rottura”, e che in alcuni casi questa rottura possa essere piuttosto fragorosa e farci fare cose inimmaginabili. Un esempio drammatico (e purtroppo basato su fatti rigorosamente reali) di questo tipo di situazione secondo me è magistralmente rappresentato ne L’avversario di Emmanuel Carrère: un uomo costruisce la sua immagine rispettabile su una menzogna che viene portata avanti per decenni. Quando il castello di carte comincia a crollare, anche la sua psiche crolla e l’unica scelta per lui possibile è quella più terribile e assurda.

 

 

4)   Un altro concetto ricorrente nel libro è, per così dire, il “rimane tra noi”. L’idea del segreto, la quale funge da speranza (perché un segreto ben custodito può letteralmente salvare delle vite) ma anche da minaccia (quando un segreto si può veramente ritenere ben custodito?). Ti cito una canzone: “’Cause two can keep a secret if one of them is dead”. Perché due possono tenere un segreto solo se uno di loro è morto… Come a dire che tenere un segreto tra due o più persone non può durare a lungo. Sei d’accordo? Questa frase può valere per i personaggi del tuo romanzo?

Sono completamente d’accordo – almeno, può valere per alcuni di loro. E in effetti, una delle possibili direzioni della storia all’inizio vedeva Tommaso cercare di eliminare l’altro testimone dell’omicidio – ma in realtà ho optato per un’altra strada perché quello che mi interessava era sviluppare e approfondire l’arco narrativo di un personaggio che non è un assassino seriale, ma che per le ragioni che abbiamo discusso poco fa commette un omicidio. E in realtà è proprio perché non vuole che il suo segreto trapeli a spingerlo a cedere all’impeto di follia. Perciò sì, la canzone è appropriata, almeno in parte. Più in generale il “rimane tra noi”, il non detto, è un’altra delle caratteristiche tipiche di una certa provincia (o di un certo provincialismo che si trova anche in taluni ambienti delle grandi città): l’importante è che determinate cose non si sappiano, non si dicano, non trapelino, e tutto andrà per il verso giusto. Ma è spesso l’atteggiamento del bambino che si nasconde sotto le coperte per sfuggire al mostro che si nasconde nell’armadio: se davvero il mostro esiste, non sarà certo una coperta a fermarlo, ma il bambino non ci vuole credere, o finge di non crederci. Controbatto con un’altra citazione dagli U2 di Achtung Baby: “They say a secret is something you tell another person”.

 

5)  Un’ultima domanda. Come abbiamo detto anche in una precedente tappa del Tour, la causa scatenante dell’omicidio iniziale da parte del protagonista deriva dal modo in cui la società italiana vedeva l’omosessualità negli anni ’90: il protagonista perde la testa perché sa che se la notizia della sua (anche presunta) omosessualità si diffondesse la sua reputazione ne risentirebbe irrimediabilmente.

Abbiamo trattato l’argomento qualche giorno fa, ma vorrei sapere da te se hai scelto questo espediente “solo” per introdurre l’elemento thriller o se nei tuoi intenti c’era anche una sorta di critica sociale… Dopotutto, spesso sono i tabù sociali a indurre le persone a commettere gli atti peggiori.

La prima cosa che mi verrebbe da dire è che non sono del tutto certo, purtroppo, che la società italiana viva il tema della omosessualità in modo così fortemente diverso dagli anni ’90. O meglio, è sicuramente così a livello di Paese in aggregato, ma i casi di cronaca nera ci dimostrano che ancora con allarmante frequenza si verificano casi di violenze e di manifestazioni di intolleranza perpetrate ai danni di individui o coppie omosessuali; credo che questo sia sintomo di un’attitudine culturale ancora diffusa in molte zone e fasce del Paese e che ci vorrà parecchio tempo per eradicarla del tutto.

Ciò posto, l’espediente per introdurre l’elemento thriller o noir all’interno della storia a mio avviso funziona (o spero che funzioni!) proprio perché introduce nei fatti una critica a una certa visione della società, incarnata ad esempio dal padre del ragazzo che può tollerare dal figlio che sia un violento e un attaccabrighe, ma che sia un omosessuale proprio no! Oppure, detta in altri termini, l’espediente funziona perché è realistico, è verosimile: può succedere che, in un determinato contesto culturalmente depresso e socialmente piuttosto retrogrado un potenziale scandalo venga risolto non andando troppo per il sottile, per così dire. Per altro in questo scambio di prospettive, viene quasi da dire che Tommaso, il Bue, è più preoccupato dalla reazione del padre di fronte al potenziale “scandalo” di quanto non lo sia per lo scandalo in quanto tale. Se penso alla storia di Tommaso mi viene da pensare ad esempio a quale genitorialità malata sia stata quella incarnata dal sindaco (e dalla madre, come si vedrà oltre nel romanzo) per spingere il ragazzo – che sicuramente ha significativi problemi caratteriali – a compiere un simile, irreparabile gesto. C’è una storia di violenza, fisica o psicologica? E se il Bue temesse conseguenze più gravi o più serie di uno “scandalo” di paese? Non era scopo del romanzo analizzare anche questo pezzo della storia, né portare avanti una tesi, ma rappresentare un certo modo malato di vivere determinate situazioni in un contesto che, ripeto, potrebbe non essere così lontano nel tempo quanto il 1997 in cui si svolgono i primi capitoli del romanzo. 

 

Ti ringrazio tantissimo per il tempo che ci hai dedicato, e ti auguro tutta la fortuna possibile per il romanzo e per tutti i tuoi progetti letterari. Alla prossima 😉

 



Forse non dovrei dirlo (e invece lo dico lo stesso!), ma questa è una delle interviste agli autori che mi hanno dato più soddisfazione finora 😊 Marco si è dimostrato gentilissimo e disponibile e le sue risposte sono davvero interessanti, anche perché toccano temi delicati, a tratti un po' borderline... Ed è proprio questo, credo, il punto di forza del suo libro: si tratta di una storia cruda, che ci presenta una città per certi versi malata e dei personaggi che magari non ci piacerebbe avere come vicini di casa; tutti questi elementi, che nella vita reale ci farebbero paura, ci permettono invece una sorta di catarsi qui, tra le pagine di un romanzo di fantasia. La vicinanza e nello stesso tempo la lontananza dell'oscurità ci permette di analizzarla, di parlarne come abbiamo fatto nell'intervista, e di capire tante cose senza dover vivere personalmente i traumi dei protagonisti. Questo è il miracolo della letteratura, ma si realizza solo se una storia è concepita in modo abbastanza realistico da farci entrare nella testa dei personaggi. Direi che nel caso di Gli irredenti di Marco Avonto l'obiettivo è stato centrato in pieno 😉

Tuttavia non voglio ancora svelarvi la mia opinione completa sul romanzo (per quanto credo che ormai sia chiaro quanto mi è piaciuto 😊) perché preferisco tenermi qualcosa anche per la mia recensione, la quale arriverà la prossima settimana in occasione del Review Party dedicato al romanzo.

Non perdetevi l'evento... E mi raccomando, stay bookish!

 

Elisa 🌸

 


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