Recensione - From zero to hero di Wanda Montanelli


Titolo: From zero to hero
Autore: Wanda Montanelli
Editore: Argento Vivo
Pagine: 150
Prezzo: Cartaceo € 15,00
Negli incontri quotidiani in televisione, negli editoriali della stampa, o nei servizi di cronaca nera, l’unico motivo che sembra muovere gli addetti ai lavori è la tiratura o l’audience. Per il resto si chiudono gli occhi. A nessuno interessa sapere che più alto è l’ascolto, maggiori sono i link a twitter, o i “mi piace” su facebook, tanto più l’inseminazione della violenza gratuita sarà efficace. Si chiama emulazione, e, in psicopatologia della comunicazione, “Effetto Werther”. La nostra società è piena di soggetti frustrati che attribuiscono al mondo circostante i propri fallimenti, e può avvenire che taluni emarginati che valutano se stessi ad un livello piuttosto basso della scala sociale, intravedano un percorso per essere promossi ad una quota superiore, e decidano perciò di attribuirsi lo status di eroe comunque degno di essere sulle prime pagine dei giornali. Di conseguenza può succedere che agiscano afferrando un’arma deflagrante alla ricerca di verifiche che trasformino la propria spoglia esistenza in qualcosa di leggendario; tanto da parlarne per giorni, mesi, anni. Una vera svolta! From zero to hero: da nullità ad eroe.
Si chiama "effetto Werther": prende il nome dal romanzo di Goethe I dolori del giovane Werther, e sta ad indicare quel fenomeno per cui la notizia di un suicidio pubblicata dai mezzi di comunicazione di massa provoca nella società una cascata consequenziale di azioni suicidarie. E' di questo gravissimo fenomeno sociale che tratta Wanda Montanelli nel suo From zero to hero.
Il protagonista del sopracitato testo di Goethe, profondamente amareggiato da una delusione d'amore, decide di ammazzarsi; le cronache di quei tempi (il romanzo è del 1774) registrarono che negli anni successivi alla sua pubblicazione, molti giovani, dopo averlo letto, si suicidarono, esattamente come il protagonista, per processo cosiddetto di "emulazione". 
Sono passati circa 250 anni e, complice la facilità di distribuzione e quindi diffusione delle notizie attraverso i media, il fenomeno assume oggi dimensioni allarmanti, impattando in modo particolare tra gli adolescenti: trovare gli strumenti per fronteggiarlo e ridurlo deve essere compito non solo delle famiglie di origine, ma della società intera, intesa sia a livello di organi legislativi che delle cosiddette "agenzie formative" e dei media.
Il testo della Montanelli propone moltissime testimonianze autorevoli da parte di esperti e studiosi del fenomeno (la bibliografia consta di ben 6 pagine!), sia dal punto di vista epidemiologico, sia psicologico, che legislativo, e oltre ad offrici un quadro estremamente dettagliato delle motivazioni che inducono le persone ad emulare il violento, il terrorista, il suicida o l'omicida di turno, vuole far luce in modo particolare su quelle che sono le responsabilità dei media nel dilagare del problema.
"From zero to hero", tradotto "da zero a eroe": sono infatti i soggetti più facilmente vulnerabili, con bassa autostima, privi di educazione emotiva o in stato di gravi carenze affettive, ad essere maggiormente esposti alla propaganda del crimine gratuita offerta dai media, che, abbagliati dal bisogno di aumentare l'audience, al fine di vendere più spazi pubblicitari e vincere contro la concorrenza, sembrano non curarsi di essere responsabili della salute degli spettatori.
Basti pensare ai talk show, dove gli ospiti si improvvisano opinionisti e sparano a zero sulle famiglie e sulle scelte del delittuoso di turno: "sarà colpa dell'educazione che ha ricevuto", "soffriva in solitudine", "non aveva gli strumenti per uscire dal suo buio". E lo fanno per puntate intere, diventando dei simil detective e, mancasse altro, lo fanno puntando i riflettori sui particolari più agghiaccianti e terribili della vicenda, ad esempio le modalità scelte per compiere il gesto. Questo atteggiamento dei media crea almeno un duplice danno: se da un lato ogni volta che ne narra la storia, aggiunge valore al soggetto che commette il crimine, dall'altra pubblicizza gli strumenti o le modalità utilizzate per compiere il gesto, offrendole così su un piatto d'argento a chi, di suo, "aveva già una mezza idea" di uccidersi o di uccidere. Soggetti indubbiamente deboli, persone che hanno bisogno di "essere viste", e che, colpiti da tutta quell'onda mediatica, pensano così di diventare eroi, accrescendo il proprio status. Individui che si identificano non nelle "persone", bensì nei "personaggi" creati dai media. E per media non si intende solo la carta stampata o la tv, bensì anche i social network o  i videogiochi: quanti ragazzini affidati al cellulari, alla tv o alla play station (baby sitter low cost), emulano i personaggi con cui si interfacciano virtualmente, arrivando a compiere nella realtà le stesse gesta?  Si pensi ad esempio alle baby gang, ovvero a infausti casi di omicidi-suicidi, rapine, violenze varie, infanticidi, femminicidi (parola che non piace alla Montanelli... definire una donna "femmina" limitandone la classificazione al sesso, alla stregua di un animale, è dispregiativo, sostiene - trovandomi pienamente d'accordo): queste azioni sono sicuramente condizionate e legate agli stimoli negativi che arrivano dai media.
"Se chi lavora nella comunicazione di massa fosse a conoscenza del potere di manipolazione e di induzione all'imitazione dei modelli comportamentali che esso comporta, forse anche in questo caso si potrebbe migliorare la qualità del messaggio mediale, senza per questo limitarne i contenuti": la Montanelli non mette mai in discussione la libertà di stampa e di espressione, ma sostiene che sia sufficiente limitarsi alla narrazione dei fatti, senza passare attraverso quella celebrazione pubblica della violenza che porta al disprezzo della vita.
Non è più tempo di insabbiare la testa: il problema esiste, bisogna fronteggiarlo. Deve essere un lavoro di squadra, svolto ognuno secondo le proprie competenze da quel macro sistema che è la società, di cui la famiglia è cellula  prima. 
Ai genitori il compito di creare solide basi affettive ed educative, insegnando ai figli a riconoscere il bene dal male; a loro anche la responsabilità di quei "no" che diventano fondamenta essenziali per quei bambini che oggi non sentono nemmeno più il "desiderio" in quanto "vengono gratificati ancora prima di desiderare". 
Alla scuola il dovere di fornire ai ragazzi gli strumenti necessari per comprendere, e difendersi da tutte le sollecitazioni negative che vengono dal mondo esterno promuovendo, attraverso la cultura, concetti migliorativi e positivi che possano contrastare tali fenomeno di crudeltà sociale.
Allo Stato il dovere di creare norme e di vigilare i media, con lo scopo finale di proteggere i cittadini.
Ai media l'invito, urlato, della Montanelli, a prendersi la responsabilità dei contenuti, delle modalità di distribuzione degli stessi e dell'uso congruo e corretto del linguaggio. 
Cosi' come diceva Buddha: "Le parole hanno il potere di distruggere e di creare. Quando le parole sono sincere e gentili possono cambiare il mondo".
Infine, a me, che sono una piccola goccia nell'oceano, la responsabilità morale e intellettuale di consigliare fortemente la lettura di questo testo a genitori, docenti, e a chiunque sia "in relazione con le persone"... quindi a tutti, veramente a tutti. Mi ha fatto vedere "le cose di tutti i giorni" da un altro punto di vista, che non conoscevo, e che ritengo preziosissimo. E se è vero che la conoscenza è alla base della libertà, è altrettanto vero che siamo tutti responsabili, se pur più o meno consapevoli, nella costruzione di un mondo nuovo, un mondo acculturato, un mondo felice perché sano.

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